Sperando fosse un sogno
Hiro correva. Correva in giro per la città senza una meta. Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito. Voleva gridare, piangere, lamentarsi con qualcuno… ma con chi? Non sapeva nemmeno come ci era finito in quella situazione. Pensava di essersene liberato per sempre. Forse non sarebbe mai dovuto entrare in contatto con quell’essere fin dal principio. Però… insomma. Chi avrebbe potuto biasimarlo? Di certo non alcuni dei suoi compagni di scuola, che purtroppo per loro avevano commesso il suo stesso errore molto tempo prima. Ma allora, perché questo stava succedendo proprio a lui? Non sarebbe potuto tornare da loro? Erano molto più forti e potenti di lui. Forse era perché lui non aveva ancora trovato un’altra arma dopo il loro sfortunato incontro? Mentre vagava sconsolato per la città, lanciando di tanto in tanto occhiate meste al sole che stava per addormentarsi per lasciare spazio alla luna, Hiro non riusciva a spiegarsi come mai era finito in quella situazione. E, soprattutto, come uscirne.
Era tutto cominciato quella mattina. Una mattina come tante. Era uscito dal suo appartamento, si era diretto a scuola. Come tutti i giorni non era riuscito a capire molto dalla lezione del professor Stein e come sempre la giornata era finita ed era ora di avviarsi verso casa. Mentre era assorto nel pensare a cosa avrebbe potuto cucinarsi per cena – forse avrebbe dovuto provare a fare il cuoco, invece di intestardirsi nel voler diventare un Meister a tutti i costi – lo aveva intravisto. Per un attimo pensò – o meglio, sperò - fosse una specie di suo disturbo post traumatico da stress. Non che il manifestarsi di qualcosa del genere fosse una cosa positiva, ma sempre meglio del suo peggior incubo in carne ed ossa. Se di carne ed ossa era effettivamente fatto.
Lentamente, il biondo si girò verso la direzione che poco prima gli aveva quasi causato un mezzo infarto. Deglutì, mentre l’amara realtà gli mostrava che ciò che aveva visto non era – purtroppo – un’illusione. Era lì, all’angolo della strada e lo fissava. Quello sguardo vuoto, vacuo. Quell’espressione priva di significato, così stupida. Quell’aura per nulla minacciosa ma solo fastidiosa, così in netto contrasto con l’immenso potere che teneva nascosto. Quel cappello da idiota, di un colore assolutamente casuale. Quel bastone maledetto che gli avrebbe volentieri tirato in testa. Hiro non sapeva nemmeno se lo stava fissando o se aveva lo sguardo perso nel vuoto.
All’improvviso quella strana creatura – che purtroppo Hiro ben conosceva – si girò di scatto verso di lui.
- Ah. Eccoti qui, giovanotto! Finalmente ti ho trovato! – iniziò con la sua solita vocina irritante.
Hiro non ne voleva sapere nemmeno lontanamente, quindi girò i tacchi e fece per andarsene.
- Ehi, dove pensi di andare? Sei proprio un maleducato, non te l’ha mai detto nessuno? – Con queste parole, fece roteare il suo bastone intorno al braccio – se così si poteva definire – per poi farlo sbattere in terra.
- La mia leggenda nacque nel dodicesimo secolo! – Le parole della creatura, tristemente note a Hiro, risuonarono nella via. – Allora, cosa mi hai preparato per cena? -
A quella domanda, il biondo si girò di scatto, visibilmente preoccupato.
- Io non ti voglio più come arma, perché mi hai chiesto che cosa c’è per cena? -
- Mi sembra ovvio, giovanotto. Io sono la tua arma! Non sei orgoglioso di essere il Meister del potentissimo Excalibur? -
Hiro voleva morire.
- No, non sei più la mia arma! – provò a ribattere.
- Ti piacerebbe. Sei stato l’ultimo con cui ho stretto un contratto e a quanto pare ora è diventato un accordo permanente. Sai cosa significa, vero? E’ quando un accordo non ha scadenza. Questo mi riporta a tempi passati, molti anni indietro. Ero al fianco di Artù, il mio prode Meister di quel tempo e spero che tu non sia geloso di lui, ed eravamo andati alla ricerca… -
Hiro pensò fosse necessario fermarlo prima che iniziasse a raccontare le sue solite cretinate, di cui al momento non gli importava nulla.
- No, scusa, non penso di aver capito. Io non voglio più essere il tuo Meister! – ripeté.
- Quello che vuoi tu non è importante. – Fu la risposta alla lamentela del ragazzo.
A quel punto, Hiro iniziò a correre, troppo sconvolto per la notizia.
Arrivato quasi avanti casa sua, lo rivide. Davanti alla porta, fiero. Excalibur era lì che lo aspettava. Hiro aveva solo voglia di piangere. Perché a lui? Si avvicinò al muro e iniziò a sbattere la testa contro, scoraggiato.
A quel punto lo scenario cambiò. Era buio. C’era silenzio. Hiro riusciva a sentire il profumo delle sue lenzuola. Era un sogno? Con cautela, accese la piccola luce nel comodino vicino al suo letto. La sua camera era come al solito. Di Excalibur nessuna traccia.
- Oddio, grazie al cielo! – furono le uniche parole che riuscì a dire, prima di buttarsi a peso morto nel letto e sprofondare di nuovo in un sonno profondo.
Una voce irritante gli risuonò di nuovo nelle orecchie.
- Ah, sei ritornato tra noi quindi? Cosa ti era successo? All’improvviso ti sei accasciato a terra! –
Hiro non riusciva a capire come mai il suo cervello lo odiasse così tanto.